Negli ultimi tre anni le aziende italiane, a partire dalle più grandi, hanno iniziato ad aprire i propri orizzonti in fatto di innovazione pur restando ancorate a fonti “tradizionali” quali i vendor di tecnologia e le società di consulenza esterne.
Molte organizzazioni hanno cominciato ad adottare modalità di collaborazione e nuovi modelli operativi connessi a realtà quali le start-up, le università e i centri di ricerca. Da qui al 2020, secondo le indicazioni delineate dal Politecnico di Milano, si farà un uso di gran lunga maggiore di queste risorse finora poco utilizzate. Se questo si tradurrà in uno stimolo efficace per la crescita dell'ecosistema delle start-up nel suo complesso, ancora oggi affetto dai ben noti difetti di nanismo dimensionale in termini di volumi di fatturato e investimenti raccolti dai venture capital e dagli investitori istituzionali, lo scopriremo in futuro.
I numeri oggi ci dicono che le imprese che adottano sistematicamente progetti di open innovation sono ancora poche. Non si arriva al 30% del totale e solo il 7% delle aziende è attiva da più di tre anni. Una su tre, invece, non ha ancora del tutto sposato l'idea dell'innovazione aperta ma è intenzionato a farlo a breve, per il 20% il fenomeno è del tutto sconosciuto e un altro 20% non è interessato a sviluppare alcun progetto. Oltre la metà delle imprese che hanno puntato sull'open innovation mira ad azioni di startup intelligence, ma è ferma al 12% la quota di imprese che avvia progetti di corporate venture capital. È chiaro che il percorso verso una piena maturazione di questo modello è ancora piuttosto lungo e lo testimonia il fatto che solo le grandissime aziende (in due casi su tre) vantano forme di collaborazioni già avviate con le start-up, per le realtà di medie dimensioni la percentuale si riduce al 21%.
Anche su questo specifico fronte il nostro ecosistema deve accelerare… e di parecchio.