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Rapporto I-Com 2017: "Serve shock della domanda"

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Secondo il Rapporto sulle reti e i servizi di nuova generazione del 2017, a cura di I-Com, l’Italia ha fatto molti passi avanti sul fronte dell’infrastrutturazione broadband, al punto da chiudere il gap con l’Europa. D’altro canto, il gap sul fronte della domanda sta aumentando infatti, nonostante la grande disponibilità di reti, gli italiani restano “fedeli” alle vecchie connessioni. Si tratta di una situazione piuttosto allarmante che rischia di far aumentare ulteriormente il nostro divario.


Ma guardiamo le cose più da vicino.

L’indice Ibi (I-Com Broadband Index) vede in prima posizione la Danimarca (con 100 punti in qualità di best performer), seguita dalla Svezia (99,6) e dal Lussemburgo (99,3). Anche in Lettonia sono stati segnalati dei progressi, resi lampanti dal suo balzo al settimo posto con un punteggio di 90,7 (ha guadagnato due posizioni in un anno). Per intenderci, la Spagna, nonostante il suo ammirevole 15mo posto, ne ha guadagnati quattro in un solo anno. L’Italia resta purtroppo nella parte bassa della classifica: rispetto al 2016 è passata dal 23° al 22° posto e ha ridotto di oltre cinque punti la distanza dal Paese leader. Questo si deve soprattutto ai miglioramenti sul piano dell’offerta digitale fissa, dove la copertura è passata dal 43,9% al 72,3%, riducendo il gap rispetto alla media europea a soli 3,7 punti.
Come accennato, resta una situazione negativa sul fronte della domanda. Il report di I-Com ci informa che il numero di sottoscrizioni di abbonamenti in fibra è stato piuttosto deludente, pari nel 2016 a solo il 3% del totale degli abbonamenti in banda larga, molto al di sotto della media europea (-16,7 p.p.). Se infatti si analizza l’IBI lato domanda e l’IBI lato offerta emerge chiaramente come l’Italia, che è 20a sul piano dell’offerta, occupi addirittura la 25ma posizione sul piano della domanda. I suoi miglioramenti risultano fin troppo modesti, soprattutto rispetto ad altri Paesi che procedono più spediti.
“È evidente che l’Europa viaggi a due velocità, con i Paesi del Nord che primeggiano dal punto di vista infrastrutturale e della penetrazione dei servizi digitali”, sottolinea Stefano da Empoli, presidente di I-Com. Per l’Italia il primo momento di svolta si è registrato nel 2015, quando ha adottato la Strategia nazionale per la banda ultra-larga e la Strategia per la crescita digitale legata al periodo di riferimento 2014-2020.
Questo periodo di rinnovata fiducia va assecondato e sfruttato per accelerare i tempi e ottenere migliori risultati. Da un lato attuando il più velocemente possibile gli investimenti in banda ultra-larga, dall’altro imprimendo un colpo di frusta alla domanda, con misure straordinarie e non più prorogabili, come il switch-off dell’accesso analogico ai servizi pubblici.
Le due strategie sopracitate hanno senza dubbio dato vita a “un processo virtuoso infrastrutturale prodotto dagli ingenti investimenti da parte degli operatori che stanno consentendo al nostro Paese di accelerare il recupero rispetto ai best performer europei”. Da questa prospettiva, l’Italia non sembra così lontana dal diventare un fast mover nel contesto europeo, cioè un Paese che, pur in ritardo rispetto alla media europea, è sulla strada giusta per mettersi al passo nei prossimi 3-5 anni.

Puglia regione al top

Scendendo nel dettaglio delle singole realtà territoriali, è la Puglia la regione con la maggior percentuale di copertura delle unità immobiliari pari all’87% (la media nazionale si attesta al 72,3%). La segue il Lazio, dove in media oltre un’unità immobiliare su cinque è raggiunta dalla rete. In Basilicata si segnalano notevoli passi avanti: solo un’abitazione su due risultava raggiunta dalla rete, dato che oggi è pari al 73%.
Per quanto riguarda il numero di comuni coperti da almeno uno dei tre operatori, la Toscana (83%) e la Sicilia (70,8%) sono le due regioni con la più ampia copertura di comuni. Se si confrontano i dati attuali con quelli dello scorso anno, si può effettivamente notare che il numero di comuni raggiunti a livello nazionale dalla rete di ultima generazione è decisamente cresciuto, raggiungendo un totale di 3.524 comuni (43,8%).
Per quel che concerne il comparto mobile e lo sviluppo della rete 4G, il grado di copertura in termini di popolazione è in generale piuttosto elevato, con percentuali superiori al 95% in tutte le regioni eccetto che in Sardegna, Molise e Basilicata, dove la copertura ha comunque raggiunto, rispettivamente, il 93,5%, 93% e 92,5% degli abitanti.

 Industria 4.0: bicchiere mezzo vuoto

Secondo il Report, piuttosto deludente appare il grado di adozione dei sistemi di identificazione a radio frequenza (RFID), dei servizi di cloud computing a elevato livello di sofisticazione o degli strumenti di Big Data Analytics (BDA), rispettivamente pari al 13%, 9% e 7% delle imprese manifatturiere europee. Sarebbe troppo riduttivo pensare che gli unici ostacoli a questo nuovo modello industriale siano solo di natura tecnologica e infrastrutturale. Esiste sicuramente un problema di cultura e di formazione, confermato dalle 420.000 posizioni di data worker scoperte in tutta Europa nel 2016 (6.2% della domanda totale).
Anche la cybersecurity è un ambito che desta una certa preoccupazione. Anche se le imprese hanno cominciato a dotarsi di strumenti idonei, stiamo parlando di numeri ancora troppo bassi: solo il 43% delle imprese manifatturiere italiane e il 32% di quelle europee hanno formalizzato una vera e propria politica di cybersecurity nella propria azienda. In Italia, il timore di vedere i propri dati corrotti o distrutti, ha portato però il 40% delle imprese manifatturiere ad adottare un sistema di protezione contro questo genere di rischio. Com’è rilevato dall’I-Com Industry 4.0 Index (un indice sintetico che tenta di misurare la “maturità digitale” e il grado di preparazione delle imprese italiane all’Industria 4.0) nel contesto europeo l’Italia si classifica solo17a con un punteggio di 78, tuttavia solo di poco inferiore alla media UE (80). È sempre più chiaro che nel futuro immediato ci sarà sicuramente bisogno di abbattere, tramite l’istruzione e la formazione, i limiti della popolazione nazionale nell’ambito della digitalizzazione.
 
Audiovisivo sempre più convergente

Il mercato dell’audiovisivo vive un momento cruciale della sua storia e deve sopravvivere e diversificarsi in una piazza che conta tantissimi attori e offerte praticamente illimitate. Negli ultimi anni lo scenario è profondamente cambiato e i ricavi del settore si stanno spostando dai vecchi ai nuovi canali. Il mercato è infatti ormai caratterizzato da processi di integrazione tra pay-TV e società di telecomunicazioni: le TELCO, offrendo servizi triple/quadruple play, si stanno trasformando in media company, per cercare di stare al passo con la crescita esponenziale degli OTT (che forniscono “servizi applicativi” in modo efficiente e a basso costo “al di sopra delle reti”, da cui il nome Over-The-Top) che, nel 2022, varranno 83 miliardi di dollari.
Tali soggetti nuovi, società spesso prive di una propria rete, forniscono servizi, applicazioni e contenuti a tutti coloro che hanno accesso a Internet, utilizzando modelli di business non ordinari per le TELCO perché basati, almeno in fasi iniziali, sui ricavi della pubblicità. L’advertising digitale è ormai una realtà: nel 2016 quasi un terzo degli investimenti globali in questo settore sono da attribuire a Internet (desktop + mobile). Si sono ormai raggiunti i livelli della televisione in una realtà in cui Google e Facebook si spartiscono quasi la metà del mercato pubblicitario digitale.
In merito alla penetrazione delle piattaforme, se il DTT (Digital Terrestrial Television) è pressoché presente in tutte le famiglie, sta crescendo il numero di quelle che optano per il satellite come modalità trasmissiva: segno dei tempi che cambiano e della presenza di tecnologie più performanti, agevolate da televisori connessi in rete o 4K. Uno dei limiti del DTT rispetto alle trasmissioni satellitari è la scarsità della banda a disposizione per la trasmissione in HD (o Ultra HD), difetto che potrebbe essere migliorato passando a un sistema di trasmissione più efficiente (il DVB-T2 che sostituirà l’attuale DVB-T) e a una codifica che risparmi dati senza perdere qualità (HEVC).
Nonostante la banda ultra-larga copra oltre il 70% del territorio italiano, sono ancora il 12% gli utenti abbonati a servizi video on demand. Entro il 2018 si stimano circa 4 milioni di utenti di servizi audiovisivi on demand a pagamento, il che conferma una dinamicità del settore a fronte di ricavi ancora esigui, pari circa a 70 milioni di euro.

Banda Ultra larga Fibra

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