Se parliamo di Italia e, in particolar modo, di competitività dei settori produttivi possiamo affermare che la produttività delle aziende è al di sotto della media UE, ma gli incentivi del piano Industria 4.0 stanno dando una spinta decisiva agli investimenti. In effetti, l’andamento dell’occupazione nelle professioni ICT (Information and Communications Technology) è stato in Italia più favorevole di quello dell’occupazione nel suo complesso, anche durante la crisi. La banda ultralarga, con il suo invio di dati ad altissima velocità, ora raggiunge un quarto delle imprese, seppur si amplia il divario tra Pmi e grandi aziende.
La digital transformation riesce ancora a fatica ad avere un ruolo determinante nella crescita del Sistema Italia, ma là dove viene adottata crea produttività, investimenti e occupazione. Dalla sesta edizione del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi apprendiamo che due terzi delle imprese sono “indifferenti” alla digitalizzazione dei processi di produzione e le imprese “digitali compiute” (alto capitale e alta digitalizzazione) sono solo il 3%. Questo senza dubbio è uno scenario che ha un forte impatto sulla produttività del Paese. Si può infatti leggere nel Rapporto sulla competitività dei settori produttivi che “dal secondo trimestre 2013 al quarto 2017 l’Italia ha registrato un tasso di crescita congiunturale mediamente pari allo 0,2%”, diversamente dall’Uem che ha mostrato un incremento trimestrale medio dello 0,4%. Anche gli investimenti sono cresciuti a un tasso medio dello 0,5%, contro lo 0,9% dell’Ue.
Per quanto riguarda l’utilizzo del web e la velocità di connessione, ciò che emerge è un divario piuttosto rilevante. Le analisi presentate nel Rapporto delineano un sistema produttivo in transizione, con incoraggianti segnali di recupero dovuti anche all’efficacia di provvedimenti di stimolo agli investimenti. Nell’ultimo biennio infatti la ripresa ha beneficiato di una dinamica più sostenuta degli investimenti fissi lordi, dopo la battuta d’arresto del 2014-2015.
Nel periodo 2016-2018, la situazione è apparsa diversa seppur non ancora alla pari con i principali Paesi dell’Ue economica e monetaria (Germania, Francia e Spagna). Si legge ancora nel Rapporto di come “La ripresa si sia manifestata più tardi e con una dinamica più debole, soprattutto a causa del modesto andamento delle componenti che dovrebbero trainarla: i consumi finali e gli investimenti”. Ciò che maggiormente frena gli investimenti è lo squilibrio tra i processi di accumulazione di capitale materiale e immateriale: se da un lato il contributo degli investimenti in macchinari è in linea con quelli tedesco e francese (sia pure con maggiori sussidi alla spesa), il peso degli investimenti in capitale immateriale è minore e più modesto è il loro contributo alla crescita.
Specialmente nel triennio 2014-2016 ben il 48,7% delle aziende italiane di industria e servizi di mercato con almeno 10 addetti ha realizzato attività innovative. Di queste, il 30,3% sono “Innovatori forti” ovvero innovano prodotti e processi; quasi il 25% sono “Innovatori di prodotto”, ma il processo resta invariato; il 18,5% sono “Innovatori di processo”, ma non di prodotto; circa il 22% “Innovatori soft” e ciò significa che innovano solo l’organizzazione o il marketing; il 4,9% “Potenziali innovatori” che hanno svolto attività innovative che però non si sono tradotte in reali innovazioni. In particolare, nella manifattura prevalgono gli “Innovatori di prodotto” mentre nei servizi gli “Innovatori soft”.
Un ruolo forte, secondo le aziende italiane, è stato sicuramente quello ricoperto dal piano Industria 4.0 e dal suo pacchetto di agevolazioni che mirano a incentivare gli investimenti in beni strumentali nuovi. Il Rapporto Istat ci dice che nel 2017 il super ammortamento ha svolto un ruolo “molto” o “abbastanza” rilevante nella decisione di investire per il 62,1% delle imprese manifatturiere, l’iper ammortamento per il 47,6% (53,0% nelle medie imprese, 57,6% delle grandi); il credito d’imposta per spese in R&S è stato ritenuto rilevante dal 40,8% delle imprese. Per quanto riguarda le spese in software, si crede che per il 2018 saranno previste dal 45,8% delle imprese, il 32% comprerà tecnologie di comunicazione M2M o Internet of things e il 27% connessione ad alta velocità (cloud, mobile, big data ecc.) e sicurezza informatica.
Abbiamo chiarito quanto per l’Italia, rispetto ai principali paesi dell’Unione economica e monetaria, il ritmo di accumulazione di capitale è ancora limitato e risente anche di “un divario rilevante soprattutto nell’uso del web e nella velocità di connessione a Internet”.
Tra il 2012 e il 2017 il fronte banda ultralarga si è senza dubbio rafforzato, passando dal 10 al 24% delle imprese, ma non si può ignorare che il 63% delle aziende è ancora a bassa digitalizzazione (per lo più piccole, di settori tradizionali e costruzioni, con sede al Centro-Sud), il 32% a media e solo il 5% ad alta (soprattutto medio-grandi di elettronica, bevande, Tlc, alloggio, informatica).
Nel sistema italiano esistono perciò imprese che hanno completato il passaggio al digitale e altre che presentano segmenti dell’attività produttiva con un potenziale di digitalizzazione da stimolare. La capacità di trasmettere l’innovazione all’interno del sistema produttivo, attraverso gli scambi intersettoriali, è fondamentale per convertirsi al digitale e raddoppiare l’effetto propulsore degli investimenti in Ict.